TREGUA, DIALOGO, RICONCILIAZIONE
Non ho vestito la mia pagina facebook con il tricolore francese perché, come ogni altra bandiera statale, gronda di sangue innocente.
Il sangue del terrore della “grande” rivoluzione – dopo la rivoluzione i tre quarti dei francesi erano privati del voto perché non potevano pagare l’imposta per acquisirne il diritto -; il sangue versato nelle guerre napoleoniche; il sangue di 20.000 operai della Comune di Parigi, massacrati in una settimana nel maggio 1871; il sangue degli ebrei francesi consegnati dal governo fascista del maresciallo Petain agli occupanti nazisti; il sangue dei vietnamiti ribelli all’occupazione colonialista dell’Indocina; il sangue degli algerini che lottavano per l’indipendenza. Tralasciando le due guerre mondiali.
No, non può essere un simbolo di solidariertà la bandiera di uno stato anche se viene venduta come simbolo di una nazione o di una nazione in lutto.
Avremmo dovuto tutti innalzare la bandiera della pace per stare più vicini ai morti innocenti di Parigi e alle loro famiglie.
Ognuno di noi poteva essere al loro posto e non si capisce perché. Eppure da questo iniziale “non si capisce perché”, dovremmo provare a cercare le ragioni di tanto odio.
Perché le nostre città stanno diventando campi di guerra? Perché la paura si sta diffondendo tra la gente? Perché la nostra libertà viene messa così selvaggiamente in discussione?
Io penso che una delle ragioni sia questa: da troppo tempo noi occidentali dei paesi ricchi non dialoghiamo con i popoli degli altri paesi, perché pensiamo di non aver bisogno di confrontarci con loro.
Pensiamo che la nostra democrazia sia il sistema politico più avanzato e che gli altri debbano solo imitarlo. Tacciamo però del tarlo della corruzione, dell’autoritarismo e delle leggi che favoriscono i ricchi a scapito dei poveri.
Pensiamo che la nostra scienza sia il paese delle meraviglie per tutto il mondo. Tacciamo però il fatto che sia soprattutto una scienza di guerra, dedicata ai sistemi di armamento e ai sistemi per colonizzare le risorse dei paesi poveri.
Pensiamo che i nostri dei siano meglio degli altri, dei più civili degli altri. Ma tacciamo o ci dimentichiamo che proprio in loro nome sono state compiute le peggiori nefandezze dell’umanità.
Invece se vogliamo vivere tranquilli nelle nostre città, ospitando anche, senza problemi, tutti coloro che ci vogliono incontrare, allora noi abbiamo bisogno di dialogare, di confrontarci, di litigare se ce n’è bisogno, ma non di continuare a guardar tutti dall’alto in basso.
Gli afghani, gli iracheni, i siriani, i palestinesi, gli israeliani, i libici, i libanesi, gli eritrei, i turchi piangono i loro morti esattamente come noi piangiamo i nostri, con la differenza che loro è da più di vent’anni che ogni giorno devono seppellire i morti ammazzati dalle nostre bombe. Dalle bombe che i nostri governi inesorabilmente continuano a seminare nelle loro terre, senza alcun diritto, come senza alcun diritto hanno sparato i loro fucili a Parigi.
Vogliamo continuare così?
Sicuramente con le bombe vinceremo, ma questa vittoria non ci porterà la pace ma la paura, l’insicurezza, la vendetta, l’odio più profondo e avremo tutti quanti meno libertà.
La pace richiede opere di pace e non opere di guerra: lo sappiamo tutti ma ce ne dimentichiamo quando serve.
Allora noi dobbiamo chiedere ai nostri governi di aprire con quei paesi una strada di pace, facendo tacere le armi per far parlare le persone. Sì, oggi serve subito una tregua generalizzata in tutto il medio oriente, servono incontri tra governanti, tavoli di trattative, ma soprattutto incontri tra i popoli, scambi di esperienze di lavoro, di studio, di cultura, di lotte sociali, di preghiera. Abbiamo bisogno di conoscerci per decidere se è giusto farci la guerra.
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